La notizia risale a qualche
tempo fa, ma offre nuovi spunti di riflessione.
Il video che mostra il prefetto
di Napoli tacitare l’intervento di don Patriciello, parroco di Caivano, è
l’ennesima prova della realtà che supera la fantasia.
La scena vede contrapposti un
uomo di chiesa ad un (così detto) uomo delle istituzioni. Il primo rivendica
chiarimenti in merito all’inquinamento da amianto che interessa una località già
fortemente travagliata da degrado, disoccupazione e camorra; il secondo si lancia in una filippica incalzante ed
appassionata sul modo col quale rivolgersi ad un prefetto (quello di Caserta):
non signora, ma “Signor Prefetto”! La denuncia
di una realtà problematica si infrange contro un muro di formalismi vuoti ed
ampollosi.
Anche se non sempre in maniera così abnorme, a
volte ci si sente poca cosa di fronte ai complicati ingranaggi della macchina
burocratica.
Mi viene in mente l’uomo di campagna che
Kafka immagina davanti alla legge, davanti ad una porta aperta e apparentemente
accessibile a tutti eppure resa invalicabile dagli incomprensibili divieti di
un guardiano. L’esito è assurdo ed inquietante:
«Tutti
si sforzano di arrivare alla legge,» dice l'uomo, «e come mai allora nessuno in
tanti anni, all'infuori di me, ha chiesto di entrare?» Il guardiano si accorge
che l'uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne,
gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo
era riservato l'ingresso. E adesso vado e la chiudo».
Vicende come quella capitata a Napoli vanno
sottolineate per ricordarci che sono le istituzioni ad essere al servizio del
cittadino, non viceversa. Quanti gestiscono la cosa pubblica devono, poi,
tenere in mente che il loro compito è preordinato alla realizzazione dei
diritti dei cittadini, in nome dei principi costituzionali e di ogni altra
prerogativa di una società degna di essere definita “civile”.
Di fronte a notizie del genere non resta
che indignarsi, ma di un’indignazione che
si scopre motore di cambiamento e rinnovazione.
Questo scriveva lo scrittore e diplomatico
francese Stéphane Hessel, ex partigiano nato a Berlino da genitori ebrei, morto
proprio in questi giorni, autore del bestseller internazionale «Indignatevi!»,
che ispirò i movimenti di protesta di «Occupy» e degli «Indignati».
<<Il motivo di base della resistenza è
stata l’ indignazione. Noi, veterani dei movimenti di resistenza e delle forze
combattenti della Francia libera, chiamiamo le giovani generazioni a far rivivere,
trasmettere, l’eredità della Resistenza ed i suoi ideali. (…). Auguro a tutti
voi, a ciascuno di voi di avere un vostro motivo di indignazione. È
inestimabile. Quando qualcosa vi
indigna, come sono
stato indignato dal nazismo,
allora si diventa militante, forte e
impegnato. Si ricongiunge il flusso della storia e la grande corrente della
storia deve continuare grazie a ognuno. E questa corrente va verso più
giustizia, più libertà, ma non la libertà incontrollata della volpe nel pollaio>>.
Salvino Roberto
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